La nostra storia

Si dice che in qualsiasi bar di Vancouver, in Canada, puoi sederti accanto a qualcuno che afferma di aver fondato Greenpeace. Ma, quanti e quali siano, di sicuro questi fondatori hanno seminato in grande. 

A distanza di più di cinquant’anni, Greenpeace è un’organizzazione globale, presente in quasi sessanta nazioni, con circa tre milioni di sostenitori. L’indipendenza, la nonviolenza, il confronto creativo – l’ethos che è stato inquadrato dai fondatori – sono ancora oggi parte integrante della missione. E proprio come allora, gli attivisti di Greenpeace sono la sua forza maggiore: persone ordinarie disposte a fare cose straordinarie per proteggere l’ambiente e la pace. 

Tra questi fondatori – inizialmente riuniti nel comitato “Don’t Make The Wave” – emerge la figura di un giornalista, Bob Hunter: è lui a portare a bordo del Phyllis Cormack il libro “Guerrieri dell’Arcobaleno” che darà il nome agli attivisti di Greenpeace. Bob è un creativo e una personalità vulcanica: teorizza il modo di agire di Greenpeace, anticipa il concetto di viralità con l’idea di “bomba mentale mediatica, inventa le prime campagne, entra direttamente in azione. 

Ma non è l’unico: la forza dell’organizzazione, infatti, si fonda sull’intelligenza collettiva, sul contributo di persone molto diverse, per storia e cultura. Alcuni sono pacifisti di vecchia data, altri giornalisti, sindacalisti, avvocati, illustratori, hippies e… quaccheri. Diversi sono gli americani fuggiti in Canada per non combattere in Vietnam. I loro nomi sono Irving e Dorothy Stowe, Jim e Marie Bohlen, Ben e Dorothy Metcalfe, Bill Darnell, Paul Cote, Bob Cummings e altri ancora. Molte donne: è proprio Marie Bohlen, davanti a un caffè mattutino, ad avere l’idea fondamentale di mandare un’imbarcazione per disturbare i test atomici statunitensi, una protesta nonviolenta ispirata al concetto di “testimonianza” di tradizione quacchera. Idea che viene raccolta dal Comitato che in poco più di un anno pianifica l’azione, cambia il nome in Greenpeace, organizza un concerto di finanziamento e affitta la Phyllis Cormack prima di salpare verso la storia. «È sorprendente», avrebbe ricordato in seguito Dorothy Stowe, «ciò che poche persone sedute attorno al tavolo della cucina possono ottenere».

LA STORIA DI GREENPEACE ATTRAVERSO 10 MOMENTI CRUCIALI

1971: la spedizione ad Amchitka 

Il 15 settembre 1971 un gruppo di attivisti salpa da Vancouver con un vecchio peschereccio, il Phyllis Cormack, ed entra nella storia. Lo scopo è protestare in modo non violento contro i test atomici USA nell’isola di Amchitka, nell’arcipelago delle Aleutine. Si tratta di una delle regioni più sismiche al mondo, in mezzo allo stretto di Bering tra Alaska e Siberia, dimora di specie in via d’estinzione.  Gli attivisti sono riuniti nel comitato “Don’t Make The Wave”, là dove l’onda (“wave”) è legata al timore che le esplosioni possano creare uno tsunami.

L’idea è semplice: portare una imbarcazione nella zona dei test, e ostacolarne lo svolgimento, allo stesso tempo rendendo concreta la protesta con la propria presenza. In termini tecnici, il viaggio è un disastro: «Non siamo mai riusciti ad andare nella direzione in cui volevamo andare, o ad essere nel posto in cui volevamo essere. E abbiamo litigato aspramente tra di noi per questo», ricorderà poi Bob Hunter. Ancora peggio, la nave viene intercettata dalla marina americana prima ancora che si avvicini al sito dei test di Amchitka, e la bomba nucleare scoppia senza alcuna opposizione. Ma quello che appare un fallimento non è tale… Il viaggio verso Amchitka, infatti, suscita un’ondata di interesse. I media si scatenano per il piccolo gruppo di attivisti salpato nonostante le grandi avversità, e le proteste contro gli esperimenti si moltiplicano. I test previsti successivamente vengono annullati e cinque mesi dopo la missione del gruppo, gli Stati Uniti interrompono l’intero programma destinando l’isola di Amchitka a santuario degli uccelli.

1972: in azione a Mururoa

Dopo la prima spedizione verso l’isola di Amchitka, il raggio d’azione di Greenpeace si estende rapidamente. Già nel 1972 entra in campo David McTaggart, un canadese emigrato in Nuova Zelanda, al quale viene affidata l’importante missione di lanciare una campagna contro i test nucleari francesi nell’atollo di Mururoa. La Francia in quegli anni è l’unica potenza occidentale a condurre test atomici in atmosfera. L’esplosione è prevista per il mese di giugno. A fine aprile, McTaggart, a bordo del Vega salpa per Mururoa con un equipaggio di cinque persone e arriva a 32 chilometri dall’atollo. A metà giugno, avvistata una mongolfiera che sorvola il luogo del test con il detonatore per l’ordigno nucleare, decide di avvicinarsi ulteriormente. Dopo otto giorni di schermaglie e inseguimenti, una nave francese sperona il Vega che viene rimorchiato fino a Mururoa per le necessarie riparazioni. Greenpeace riesce solo a ritardare il test. L’anno successivo McTaggart ritorna a Mururoa, i francesi lo abbordano e lo feriscono ma uno dei membri dell’equipaggio riesce a fotografare tutto. La notizia della protesta e dell’assalto dei francesi fa il giro del mondo, sollevando proteste soprattutto in Australia e Nuova Zelanda. Nel 1974, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Francia annuncia la fine dei test atmosferici.

1975: in difesa delle balene

Le attività si fanno più frenetiche. Nel 1975, Greenpeace apre il primo vero ufficio, ovviamente a Vancouver, e lancia la sua campagna più famosa, quella per la difesa delle balene. Dopo secoli di caccia intensiva e indiscriminata, infatti, sono molte le specie a rischio di estinzione, senza che nessuno intervenga. 

Greenpeace decide di affrontare direttamente le navi baleniere, chiamando in azione sia la Phyllis Cormack che il Vega. L’idea è semplice: posizionarsi con i gommoni fra le balene e le navi per bloccare la traiettoria degli arpioni. Come obiettivo, sceglie una flotta dell’Unione Sovietica a caccia di capodogli nel Pacifico settentrionale. Le immagini dell’arpione che sfiora le teste degli attivisti sul gommone per poi conficcarsi nella schiena di una balena diventano un vero e proprio simbolo: l’equipaggio della Phyllis Cormack viene accolto da ali di folla al rientro in porto. Nel 1982, la Commissione Baleniera Internazionale vota l’adozione di una moratoria sulla caccia commerciale alle balene, tuttora in vigore.

1979: nasce Greenpeace International

All’inizio Greenpeace era soltanto uno slogan. Quello coniato da uno dei fondatori, Bill Darnell, in risposta al classico “peace” con il quale Irving Stowe salutava i compagni del Comitato “Don’t Make The Wave”: “Facciamo una pace verde” disse Darnell. Con questo nome Irving Stowe accolse gli spettatori al concerto di finanziamento nel 1970, e Greenpeace venne ufficiosamente ribattezzata la Phyllis Cormack per la prima spedizione dell’anno seguente, ad Amchitka. 

«Negli anni Settanta, abbiamo deciso di creare un movimento ecologico globale, che all’epoca non esisteva», racconta Rex Weyler (cofondatore di Greenpeace International e “storico” dell’organizzazione): «Ci aspettavamo che il movimento si sarebbe espanso in tutto il mondo. Ma all’inizio, penso che la maggior parte di noi fosse più interessata a un movimento globale che a un’organizzazione globale». Sulla scorta del successo delle prime campagne, però, gli uffici di Greenpeace iniziano a sorgere in tutto il mondo. Insieme, sorgono anche questioni di strategia, di comunicazione, di responsabilità. La soluzione era una struttura di coordinamento globale, spiega Weyler, «e così abbiamo creato Greenpeace International ad Amsterdam nel 1979».

1985: l’affondamento della Rainbow Warrior

Nel 1985, i test nucleari francesi nel Pacifico meridionale diventano nuovamente oggetto di controversia. La nave ammiraglia Rainbow Warrior ha da poco concluso l’”Operazione Exodus” sull’atollo di Rongelap, nel Pacifico, con lo spostamento dell’intera popolazione – colpita dalle radiazioni dei test nucleari condotti dagli americani tra 1948 e 1956 – nell’isola di Mejato. Terminata la missione, si dirige verso Auckland, in Nuova Zelanda, in attesa di fare rotta per Mururoa dove non arriverà mai. Il 10 luglio 1985, quando mancano dieci minuti alla mezzanotte, due esplosioni squarciano lo scafo della nave. La Rainbow Warrior affonda e Fernando Pereira, un fotografo di Greenpeace, rimane ucciso. 

Le esplosioni sono chiaramente un atto di sabotaggio e l’attenzione cade subito sui servizi segreti francesi. Nei mesi successivi, il primo ministro francese Laurent Fabius ammette le colpe della Francia mentre il ministro della Difesa, Charles Hernu, si dimette. Nel 1987 una corte d’arbitraggio internazionale stabilisce un indennizzo di 8,1 milioni dollari, con i quali Greenpeace compra la Rainbow Warrior II. Quanto al relitto della prima imbarcazione, una volta svuotato dei macchinari, viene trasportato verso Matuary Bay e affondato: un corrispettivo della barriera corallina creato per ospitare pesci e favorire la biodiversità marina.

1986: nasce Greenpeace Italia

Nel 1986 nasce a Roma, in Viale Gelsomini 28, il diciassettesimo ufficio nazionale di Greenpeace nel mondo. Tra i motivi della scelta di aprire in Italia un nuovo ufficio c’è anche la solidarietà espressa da tanti italiani dopo l’affondamento della Rainbow Warrior, ad Auckland, l’anno precedente. 

Per David McTaggart – che partecipa direttamente alla fondazione con gli amici Leslie Busby e Sidney Holt – si tratta di una tappa importante: radicata principalmente in Nord Europa, Nord America e Pacifico; Greenpeace si preparava infatti a diventare un’organizzazione davvero globale. Aprire un ufficio in Italia, in mezzo al Mediterraneo, significa lanciare un ponte verso Africa, Medio Oriente e mondo arabo, così come la nuova sede in Unione Sovietica – inaugurata negli stessi anni – serve a creare un legame con l’Europa orientale, a lungo vissuta al di là del muro. Greenpeace Italia nasce a pochi mesi dal disastro di Cernobyl, mentre si preannuncia il referendum (poi svoltosi nel 1987) sull’uso dell’energia nucleare. Non a caso, la prima azione nella penisola è contro l’invio delle scorie nucleari della centrale di Borgo Sabotino (Latina) a Sellafield. 

1991: un protocollo per l’Antartide

Le attiviste e gli attivisti di Greenpeace hanno solcato i mari per difendere le balene, occupato piattaforme per fermare compagnie petrolifere senza scrupoli, sfidato le aziende che abbattono le foreste, fermato il nucleare in Italia. Hanno ottenuto molte vittorie e altrettante sconfitte, senza mai arrendersi. 

Le battaglie migliori di Greenpeace sono sempre state quelle che sembravano “impossibili”. Come la campagna che, iniziata negli anni Ottanta, sfocia nell’approvazione – il 4 ottobre 1991, a Madrid – di un “protocollo di protezione ambientale” all’interno del Trattato per l’Antartico. Il Protocollo di Madrid è una delle grandi vittorie del movimento ambientalista: vieta lo sfruttamento economico del “continente bianco”, che viene designato come riserva naturale votata alla pace, alla ricerca scientifica e alla cooperazione internazionale. Nella sua campagna, Greenpeace non si limita a condurre spedizioni annuali per misurare l’impatto umano sull’ambiente, ma arriva a stabilire sull’isola di Ross una base antartica, l’unica indipendente da qualsiasi altra organizzazione o stato. Creata nel 1987, la base viene chiusa nel 1992, e poi smantellata. Pronti a rifondarla se, alla scadenza dei cinquant’anni di validità del Protocollo – entrato in vigore nel 1998 – la protezione dell’Antartide dovesse nuovamente essere messa in questione.

2006: la prima campagna web

Se – ispirato da Marshall McLuhan – Bob Hunter aveva lanciato il concetto di “bomba mentale” sin dalla prima spedizione ad Amchitka, Greenpeace ha continuato a muoversi sul solco dell’innovazione e della tecnologia: per collegare gli uffici in tutto il mondo, e le navi, senza essere intercettati, per esempio, ha iniziato a utilizzare Internet e le email molti anni prima dell’ascesa del web. 

Nel 2006 è proprio il web a essere protagonista di una nuova importante campagna: “Green My Apple”. L’obiettivo è convincere Steve Jobs a eliminare le sostanze nocive dai Mac e dagli altri prodotti dell’azienda di Cupertino. La piattaforma web della campagna viene disegnata per assomigliare quanto più possibile al sito della Apple e contenere tutti gli strumenti per diventare attivisti: si possono mandare messaggi a “Steve”, creare pubblicità alternative, invitare gli amici a partecipare tramite email (siamo ancora agli albori dei social media). Una vera e propria rivoluzione creativa, che non a caso nel 2007 viene premiata con il Webby Award per l’attivismo, e anticipa la famosa campagna di Barack Obama (“Yes We Can”). “Green My Apple” ha grande successo: sono sufficienti pochi mesi di attività virale, e solo tre azioni “fisiche” (New York, Londra e… Roma), perché Steve Jobs annunci la graduale eliminazione delle sostanze chimiche più nocive dai prodotti Apple. 

Sono solo i primi passi nel mondo dell’attivismo digitale. Non c’è più campagna, oggi, che non consideri web, new e social media come terreno privilegiato: Greenpeace crede nel “potere di agire insieme”, perché “il futuro dell’ambiente è nelle mani di milioni di persone nel mondo che condividono le nostre aspirazioni”. 

2013: la Russia vs. gli Arctic30

Il 18 settembre 2013, alle 02.34 del mattino, quattro gommoni lasciano la nave di Greenpeace Arctic Sunrise verso una piattaforma petrolifera russa, la Prirazlomnaya, nel Mare Artico. Gli attivisti tentano di scalare la piattaforma per protestare contro la corsa al petrolio in ambiente artico, che rischia di danneggiare un ecosistema così delicato. Artide e Antartide sono indicatori dello stato di salute del Pianeta e mandano un segnale chiaro: l’uomo sta compromettendo la capacità della Terra di sostenere la vita come la conosciamo. 

L’azione non ha successo: l’equipaggio dell’Arctic Sunrise viene arrestato dai militari russi e incarcerato con accuse che oscillano tra la “pirateria” e il “vandalismo”. Gli attivisti, ribattezzati “Arctic 30”, saranno liberati solo alla vigilia di Capodanno, dopo mesi di proteste globali che coinvolgono milioni di persone, attivisti, politici e star del calibro di Madonna e Paul McCartney. Abbordaggio, sequestro e detenzione della nave saranno dichiarati illegali da parte del Tribunale dell’Aja e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e la Russia sarà condannata a risarcire oltre 5 milioni di euro di danni. La campagna “Save The Arctic” ha unito più di otto milioni e mezzo di persone. Nel marzo del 2014, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione a sostegno dell’istituzione di un’area protetta al Polo Nord che vieti l’estrazione di petrolio e la pesca industriale.

2021: cinquant’anni di Greenpeace

Il 2021 segna il Cinquantesimo anniversario della fondazione di Greenpeace. Cinquant’anni da quel 15 settembre 1971 in cui un vecchio peschereccio salpa da Vancouver per denunciare i test nucleari effettuati dagli Stati Uniti nell’isola di Amchitka, nello Stretto di Bering. Motivati dalla visione di un mondo verde e pacifico, i fondatori di Greenpeace credevano che pochi individui potessero fare la differenza. E con il loro esempio hanno creato un’organizzazione globale, una rete che comprende 26 uffici nazionali e regionali in oltre 55 Paesi, oltre a un organismo di coordinamento, Greenpeace International. Che si tratti di rifiuti radioattivi o della caccia alle balene, di deforestazione o industria tecnologica, che sia il Trattato Antartico oppure l’Accordo di Parigi sul clima, Greenpeace è stata e rimane una forza per il cambiamento. Ma c’è ancora molto da fare: servirà l’aiuto e il sostegno di tanti per garantire un futuro verde e pacifico per l’umanità. Il “viaggio per la vita e la pace continua”. Benvenuti a bordo.